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Rimini | Il caso Bugli e la crisi delle associazioni

Venerdì, 23 Maggio 2014

2bRimini | Il caso Bugli e la crisi delle associazioni

Il divorzio traumatico fra la Cna e Salvatore Bugli, che per anni è stato il dominus assoluto dell’associazione, porta alla ribalta molti temi che meritano di essere analizzati. Non si può infatti liquidare la vicenda semplicemente come la rottura del rapporto di fiducia fra l’associazione e il suo direttore a motivo del colossale buco lasciato nei conti. Si tratta di capire cosa c’è dietro quel milione di debiti e, come si vedrà, ciò che quella voragine rivela non riguarda solo la Cna ma tutta la vita politica (in senso lato) della provincia di Rimini.
Bisogna innanzitutto ricordare che Bugli è stato un uomo di potere la cui attività è stata solidamente intrecciata con il sistema di potere del maggior partito della sinistra (Pds-Ds-Pd). Quando ne diventa direttore, la Cna è poca cosa ed è sotto la sua guida che arriva a contare più di cinquemila iscritti. A fronte di una crisi della Confesercenti (si ricorderà l’uscita traumatica di Corrado Zucchi), la Cna diventa l’associazione che nella strategia del Pds-Ds-Pd deve svolgere la funzione di penetrazione nel mondo della piccola impresa ed assicurare al partito i consensi del mondo produttivo. Lo stretto legame è confermato dai numerosi personaggi politici che, usciti dalle amministrazioni pubbliche, hanno trovato un posto di lavoro nell’associazione e dagli altrettanto numerosi personaggi che in un modo o nell’altro hanno collaborato.  Per molto tempo, prima che la spuntasse Gnassi, Bugli è stato anche uno dei candidati alla carica di sindaco.
La gioiosa macchina da guerra della Cna si è inceppata quando la crisi economica ha colpito le fonti di finanziamento. L’associazione si regge solo minimamente grazie alle quote associative, il grosso delle entrate viene dai servizi (fiscali, buste paga, ecc.) che fornisce ai soci. La crisi ha determinato una minore richiesta di servizi e quindi minori entrate. Ma la mastodontica macchina è rimasta intatta. Se poi si aggiungono probabili errori gestionali e manageriali, ecco spiegata l’origine del buco da un milione di euro. Le spiegazioni fornite da Bugli non hanno convinto i soci (ma dove erano quando succedeva tutto questo?) e così il direttore è stato mandato a casa, con le porte sbarrate per la presidenza della Camera di Commercio a cui da anni era candidato. Gli resta comunque una posizione di assoluto prestigio, la vice presidenza della Fiera, nel cui consiglio è entrato in rappresentanza dei soci privati.
Il caso Cna non è isolato. Già si è accennato agli ormai remoti guai della Confesercenti, ma qualche manciata di anni fa era scoppiato il caso della Confcommercio. L’associazione dei commercianti è stata per anni un interlocutore vivace e battagliero nella vita economica e politica della provincia. Sotto la presidenza di Stefano “Tete” Venturini, l’associazione si era ingigantita (sede sontuosa e tutto il resto), accumulando una marea di debiti e posizioni di prestigio (la vice presidenza della Fiera) per il suo leader. Per ripianare il buco ha venduto la sede, ridotto il personale, ed è praticamente scomparsa dalla scena. L’unica realtà solida rimasta è l’AsconFidi.
Un’altra associazione che al momento è solo una pallida immagine di ciò che era un tempo è quella degli albergatori. Dalla presidenza di Maurizio Ermeti ha abbandonato ogni posizione di vivace presenza sulla scena politica e sindacale per allinearsi al potere amministrativo locale.  Per Ermeti questa linea ha valso la presidenza del Forum del Piano strategico e un posto nel consiglio d’amministrazione della Fiera. La strategia consociativa ha avuto il suo apice nella partecipazione alla gestione di Aeradria e delle società collegate, che – come noto – ha lasciato morti e feriti sul campo.
E così siamo al punto fondamentale che la vicenda Cna mette in luce: la crisi delle associazioni di categoria. Una crisi che è economica e finanziaria, collegata alla più generale crisi dell’economia locale. Ma che è soprattutto una crisi di identità e di rappresentanza. Le associazioni appaiono sempre più delle burocrazie autoreferenziali che non svolgono il ruolo per il quale dovrebbero esistere: rappresentare gli interessi degli associati in una virtuosa dialettica con il potere politico e amministrativo locale. Con questo potere hanno invece preferito praticare la strada della partecipazione consociativa, con i risultati disastrosi che anche la sentenza della Corte d’Appello sul fallimento di Aeradria ha messo in luce. Una strada che hanno cominciato a percorrere quando c’era ancora una mucca da mungere, ma adesso quella mucca non dà più latte e la crisi si fa quindi più acuta.
La loro crisi è parallela e speculare a quella dei partiti, nella maggior parte involucri vuoti che si animano solo per le scadenze elettorali.
In una società democratica, il ruolo delle associazioni, come quello dei partiti, è fondamentale. Non c’è bisogno di citare la lezione di Tocqueville per ricordare come siano l’antidoto necessario ad ogni possibile involuzione autoritaria del potere. In questo momento prevalgono le macerie, speriamo che ci sia qualcuno che si metta a ricostruire.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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